LEGGERE IL PRESENTE, RE-IMMAGINARE IL FUTURO Non smettere la passione di andare oltre.

LEGGERE IL PRESENTE, RE-IMMAGINARE IL FUTURO

Non smettere la passione di andare oltre.

Fin dal nostro esordio nella vita ci accorgiamo che ci è dato vivere in uno spazio-tempo determinato. Siamo costretti a vivere nel mondo in cui viviamo! Il futuro sembra essere tramontato e il passato dimenticato, pietrificato. Il flusso del tempo sembra essere totalmente assorbito da un presente che si ripete qualitativamente identico.

È entrato irreversibilmente in crisi quel dispositivo che ci faceva partecipare ad un andamento lineare di una storia caratterizzata da un vistoso sviluppo in avanti, da un futuro sempre diverso e migliore, sempre in progresso.

La freccia del tempo sembra essersi arrestata. Permane la sensazione di non avere tempo e contemporaneamente abbiamo la pretesa di fare tutto subito, presi da una fretta per lo più svuotata da ogni proiezione e progetto di futuro.

Anche la riflessione diviene un’attività in disuso poiché necessita di tempo, di distensione nel tempo, ma anche della possibilità e della volontà di perderlo. “Non posso pensarci adesso, ho fretta, non ho tempo!”: in questo modo di dire comune è implicita l’idea di un rinvio indefinito di ogni riflessione, una sorta di rinuncia.  L’urgenza brucia il tempo e la vita in anticipo e si finisce per correre senza sapere né per dove né perché. La fretta diventa abitudine interiore e modo di vita priva di uno scopo che le dia senso.

Per leggere e comprendere meglio il presente occorre riprendere le mosse dalla memoria che ci aiuti a cogliere come il tempo e i modi di viverlo da parte degli uomini sia cambiato dentro quadri di società, individuare direzioni di senso, prospettive, luci ed ombre e eventuali nuove possibilità di futuro. 

La società pre-industriale

Ignazio Silone nel suo romanzo “Fontamara” ci fa immergere nel tempo del mondo contadino, quando il lavoro e la vita erano scaditi dal ritmo della natura: il sorgere e il calar del sole, il susseguirsi del giorno e la notte e delle stagioni. Un tempo ciclico in cui la vita scorreva in modo lento e ripetitivo, tanto che nell’arco di un’esistenza poteva capitare di non assistere ad alcun cambiamento.  “…La vita degli uomini, delle bestie e della terra-ci ricorda Silone- sembrava così racchiusa in un cerchio immobile saldato dalla chiusa morsa delle montagne e dalle vicende del tempo. Saldato in un cerchio naturale, immutabile…Gli anni passavano, gli anni si accumulavano, i giovani diventavano vecchi, i vecchi morivano, e si seminava, si sarchiava, si insolfava, si mieteva, si vendemmiava. Ogni anno come l’anno precedente, ogni stagione come la stagione precedente. Ogni generazione come la generazione precedente. Nessuno a Fontamara ha mai pensato che quell’antico modo di vivere potesse cambiare”.

La ripetizione non prevedeva un futuro che non fosse l’eterno ritorno del già accaduto. Il baricentro della temporalità umana si situava indietro, nel passato.

La società industriale

La convinzione che quell’antico modo di vivere non potesse cambiare incontrò una netta smentita già a partire dalla metà del XVIII secolo. Due grandi Rivoluzioni quella Industriale e quella Francese, sostenute dal pensiero illuministico, inaugurarono la nascita della modernità imprimendo una inedita accelerazione della storia e notevoli cambiamenti nell’esperienza e nei ritmi di vita delle persone. Lo scenario cambia radicalmente

Un prepotente orientamento al futuro emerge con la rivoluzione francese, con la volontà di rifondare la società e le istituzioni sulla base di principi razionali e universali:  principi e obiettivi che dischiudono gli orizzonti della democrazia moderna.

Nel cuore del progetto illuministico c’è la volontà di progresso materiale e morale della società, il conseguimento della pubblica felicità.

Le innovazioni tecnologiche, favorite da uno straordinario sviluppo della scienza, determinano la nascita del telaio meccanico, del trasporto a vapore, della chimica, delle prime ricerche sull’elettricità…

L’intreccio di questi fattori imprime un prepotente moto espansivo allo sviluppo economico e determinano significativi e veloci cambiamenti sociali, culturali, valoriali.

Il baricentro del tempoviene rapidamente spostato in avanti e diventa il futuro. Emerge la “passione per il futuro”.  L’uomo moderno galvanizzato dall’accumulo di conoscenze e dalla percezione di non essere carente, di essere in realtà in grado di trasformare se stesso trasformando le cose e l’ambiente in cui vive, si sente sempre più in grado di “superare il limite”, ogni ostacolo che si frappone al raggiungimento dei propri obiettivi, scopi, fini, non ultimi il benessere e la felicità per tutti. Emerge l’ambizione di controllare il tempo, misurandolo, finalizzandolo ai propri obiettivi e scopi. L’orologio è il simbolo e lo strumento che scandisce i tempi della vita. Il lavoro viene organizzato con “la catena di montaggio”: il tempo viene razionalizzato e finalizzato alla massima produttività e al profitto, “il tempo è denaro”.

Si afferma una concezione lineare del tempo. Il futuro è considerato come il vero approdo cui tendere in modo accelerato, come luogo di progresso sempre rimandato in avanti.

Si perde la percezione del presente che diventa immediatamente passato e sostituito da un sempre “nuovo futuro” che si impone come “nuovo presente”.  Cresce progressivamente la sensazione di non riuscire a stare al passo con i ritmi imposti dalla nuova epoca e cominciano ad emergere nuove forme di disagio.

La società post-industriale.

Con la più recente rivoluzione tecnologica si entra nell’epoca della post modernità. Il progetto della modernità entra in crisi. L’aver premuto l’acceleratore sul futuro, con l’ambizione di produrre un progresso infinito, ha “stressato” il tempo facendolo uscire dai suoi cardini fino a  far cessare al presente di esistere. Oggi le nuove tecnologie hanno invaso il nostro mondo con strumenti tecnici sempre più veloci determinando una sempre crescente compressione del tempo e dello spazio e, paradossalmente, riducendo l’esistenza all’unica dimensione temporale di un presente costantemente riprodotto a velocità sempre più intensa. Il tempo non scorre più gradualmente. Il futuro sopraggiunge troppo in fretta tanto da non poter più essere pensato e programmato. L’uomo postmoderno, nel reiterato tentativo di conformare i propri ritmi di vita con quelli dei nuovi strumenti tecnici, brucia ogni pensiero progettuale e si chiude in un eterno presente, incapace di immaginare il futuro.

Si pensi, in modo emblematico ad internet che ingloba tre “qualità”: velocità, istantaneità, simultaneità contemporaneamente concentrate nel “qui ed ora”. L’unità di tempo non è più l’ora, ma l’attimo, l’istante, il femtosecondo.

La tecnica è il soggetto del cambiamento, fissandosi sul presente, annullando il passato e ogni forma di futuro, ma per quali scopi e fini non si sa. Abbiamo rinunciato a considerare noi stessi come soggetti del cambiamento, come soggetti della storia. Sembra eclissarsi ogni conversazione umana sui fini e su ogni idea di meta comune. Sembra tramontare l’idea che l’avvenire possa essere progettato.

Più recentemente abbiamo sperimentato nuovi rischi globali che ci hanno lasciati inermi, perché fuori da ogni possibile controllo individuale, come la pandemia, l’esaurimento delle risorse, i disastri ecologici (alluvioni, siccità..), la guerra con la pesante minaccia di una distruzione totale. Tutto ha contribuito a rendere più opaco e intrascendibile il presente e ha fatto emergere i vissuti dell’impotenza, della melanconia, della perdita di senso dell’esistenza, della mortificazione del desiderio, della depressione, della caduta delle relazioni, del blocco di ogni proiezione di futuro. La vita anziché dilatarsi è andata sempre più restringendosi al qui ed ora.

Segnali di disagio sono sempre più diffusi, coinvolgono tutti e sono più evidenti tra i giovani che sono i soggetti più “derubati del futuro”. Anche le scuole e le famiglie lamentano che i ragazzi manifestano segnali di apatia (non sono colpiti né attratti da nulla), di inedia (scarsa assunzione di impegno e di responsabilità), di senso di inefficacia (percezione diffusa di girare a vuoto) di indifferenza (difetto di sensibilità rispetto alle differenze e a tutto ciò che accade fuori di sé e nel mondo).

In questo preoccupante e desolante paesaggio stentano ad emergere rappresentazioni di un mondo possibile, frutto di nuova sensibilità, di nuova ideazione, di nuova creatività e generatività.

 

  Dare ossigeno al presente

Occorre riprendere ad immaginare il futuro, raccogliere idee che aprano la via di un cambiamento possibile, rompere il dominio di un presente chiuso e onnipresente.

Cadute le grandi ideologie e le grandi narrazioni che prevedevano e promettevano mitici e progressivi cambiamenti per l’umanità, diventa urgente riaprire la riflessione sui modi e le forme con cui si può modificare il proprio contesto di vita a partire dalla modificazione di sé, rivalorizzando quei processi che fanno degli uomini e delle donne dei soggetti costitutivamente aperti al futuro, attivando pratiche di trasformazione e facendo della quotidianità il laboratorio dove nasce l’alternativa possibile alla crisi della nostra epoca.

Perché  tutto ciò sia possibile occorre richiamare quelle che possono essere considerate due

precondizioni.

La prima: “portare a fondo la critica all’antropocentrismo”, quella cultura che ha considerato l’uomo centro dell’universo e superiore a tutte le altre entità presenti sulla terra e che ha alimentato la presunzione e l’illusione di essere in grado di superare ogni limite in una sfida continua col mondo. Occorre un cambio radicale del punto di vista  che ponga al centro, non tanto l’individualità, quanto la “relazione” contribuendo a sviluppare una “Antropologia della relazione”, a costruire e rinforzare legami (relazione non solo io-tu-noi-gli altri ma anche relazione con la natura, l’ambiente,  l’economia, la tecnologia, la tradizione… con tutto l’Altro). La relazione apre al futuro, amplia le nostre possibilità di vita.

La seconda: “distendersi nel tempo”. L’estrema accelerazione, velocizzazione dei processi di cambiamento e dei ritmi lavorativi, il produttivismo, la fretta come acceleratore dei ritmi di vita, hanno contribuito al diffondersi di nuovi disagi, di forme d’ansia, di “nevrosi da prestazione”. La chiusura in un “eterno presente”, la paralisi di ogni proiezione di futuro, il diffondersi della paura dell’ignoto, dello stato di attesa per qualcosa di perturbante  che il futuro potrebbe riservare, ha preso la forma dell’angoscia, del sentirsi stretti, costretti nell’angolo dell’inazione o, peggio ancora, delle nuove forme di malinconia. “Distendersi nel tempo” può essere un piccolo antidoto all’ansia-angoscia, senza pretese terapeutiche, ma soprattutto un invito a governare il proprio tempo. Lo stesso per la fretta, spietata acceleratrice dei ritmi dell’esistenza e indomabile nemica dell’attenzione, della concentrazione, della cura. Nessun elogio della lentezza, ma semplice richiamo etico alla “misura”. La saggezza pratica dovrebbe portare all’evitamento degli eccessi. Tutto ciò richiama in causa direttamente le nostre condotte di vita.

Dare ossigeno al presente significa riprendersi cura di sé, degli altri, dell’acqua, dell’energia, della natura, del mondo, a partire dalla quotidianità, evitando comportamenti lesivi di sé e del bene comune; significa recuperare l’attenzione alla realtà più prossima, riscoprendo la ricchezza di senso, i colori, gli enigmi, la bellezza di quello che è intorno a noi e dentro di noi; significa smettere di considerare la limitatezza del tempo a disposizione, rispetto alle possibilità a cui possiamo accedere. L’esperienza del limite di tempo può spingere infatti a scegliere come investire il tempo e le energie su certi percorsi, impegni, a scapito di altri contribuendo a caratterizzare in modo specifico, singolare, unico, il modo con cui ognuno vive, accede al mondo e contribuisce a costruire il mondo. Quanto viene perso in completezza è guadagnato in intensità e unicità. Piacevole non è solo desiderare ma soprattutto scegliere.

Re-immaginare il futuro

Riprendere ad immaginare il futuro è possibile a partire dalla domanda: “Quale imprevedibile divenire, cambiamento si produrrebbe se milioni di persone si comportassero come detto? Riconoscere, dunque, di essere parte della vita senza rinunciare a fare la propria parte per uscire dalle patologie del presente, per arginare la deriva della “decadenza” e della malinconia. Il futuro non è un dato naturale, ma una nostra creatura,  un prodotto culturale.

Si tratta di coltivare la consapevolezza che il futuro è qui ed ora sotto forma del possibile, del “non ancora”, della mancanza, ma anche che c’è un futuro che non è qui adesso, che non è del tutto prevedibile

Non occorrono grandi progetti o grandi visioni del mondo, si può attivare una micro progettualità

che miri a produrre cambiamenti di sé, dei propri stili di vita, del proprio contesto e ambiente di vita facendo leva su quella passione coltivata e sedimentata nel tempo, quella spinta, propriamente umana, ad andare oltre, a superarsi, a superare gli ostacoli non in contrasto con la prudenza, l’autocontrollo e il senso del limite. Occorre riseminare nel“campo del presente” i fiori del futuro.

Il progetto di sé non potrà escludere la cura del corpo emancipandosi dall’idea del corpo come ostacolo e inibitore della possibilità. Il corpo è un confine aperto, apertura al mondo, all’Altro da sé, è luogo del desiderio, è possibilità di relazione e condivisione. Dietro i pensieri, i sentimenti, l’immaginazione c’è il corpo.

È importante coltivare le relazioni ed averne cura:  nella relazione il soggetto trascende se stesso, va oltre se stesso, oltre i propri confini La relazione favorisce il cambiamento e permette di uscire dall’autorispecchiamento narcisistico e dall’illusione di essere senza limiti, di essere qualcosa di già compiuto e definito.

Non è inopportuno richiamare quei comportamenti che rappresentano, potremmo dire “il software relazionale”: riprendere a parlarsi, ad ascoltarsi, a comprendersi, a “prestare attenzione”, ad avere sensibilità per l’altro, a fare esperienze comuni, stare vicini, relazionarsi con gentilezza, tenerezza, mitezza, affettuosità, rispetto, stima… Si sente che si potrebbe vivere meglio, ma si continua a vivere secondo schemi consumistici-materialistici.

Riprendere a sognare. Coltivare il “privilegio” del sogno, risorsa tipicamente umana, capace - partendo da esperienze  attuali - di attivare la memoria, di richiamare tracce del passato anche remoto e di rappresentare un futuro desiderato, possibile, seppur da interpretare: sogno notturno e ad occhi aperti. L’inconscio non è solo deposito di tracce mnestiche ma anche forza attiva che produce effetti nuovi, che produce messaggi che esigono di essere ascoltati. Walt Disney, uomo di grande creatività, diceva: “Se si può sognare, si può fare”.

Produrre una visione. Quanto più ampia è la possibilità di desiderare, di progettare, di esprimersi, di scegliere di esprimere la propria libertà, tanto più è possibile costruire una rappresentazione mentale, una visione, di come si desidera che evolva nel futuro la propria vita.

Il punto è che la visione delinei uno scenario futuro che sia realistico, credibile, attraente, una condizione che sia migliore, sotto profili significativi, di quella presente. La visione rappresenta “una bella impresa” da realizzare. Produrre una visione significa avere di fronte a sé una finestra spalancata sul futuro. Se condivisa da chi vive e ha rapporto con noi, la visione “lascia entrare il sole” nella nostra casa e contribuisce a dare senso anche alla nostra quotidianità.

Non disprezzare l’utopia. Immaginare un luogo che non esiste, una società che non esiste, un paese, una città che non esiste significa produrre prefigurazioni di futuro che possono orientare l’agire. All’utopia non viene richiesto di risolvere i problemi subito. Il ricorso all’utopia può contribuire a limitare la tendenza all’attivismo frettoloso dell’ “eterno  presente”. L’utopia genera speranze rispetto a possibilità future. D’altra parte quante novità sono state generate dalla ricerca e dal movimento verso ciò che era immaginato come impossibile o non pienamente realizzabile!

Godere dell’avventura. L’avventura è un “viaggio” non programmato in tutti i dettagli, che apre all’ignoto, al possibile e implica l’accettazione di ciò che può accadere, il fare pace con il caso senza rinunciare alla libertà di scegliere come affrontare situazioni non previste. L’avventura apre  la possibilità di vedere ambienti e paesaggi nuovi,  offre l’opportunità di avere nuovi incontri,  dà il piacere di gestire il tempo come meglio si crede.

Verso l’estetica del quotidiano

Certo non è possibile vivere in uno stato di “benessere globale”, stare bene quando altri, la natura, l’ambiente, il mondo stanno male.

L’altro fuori di noi “chiama” il noi.  Ci chiede di cambiare postura: da indifferenza o dominio a responsabilità. Se è vero che l’uomo non è per nulla superiore agli altri esseri viventi, occorre evidenziare un’eccezione: solo l’uomo, noi, possiamo essere responsabili anche per loro. Questo comporta l’impegno ad andare oltre quella che potremmo chiamare l’ “etica domenicale”,  quella che attiva comportamenti di salvaguardia e cura della propria vita e di quella  degli altri esseri viventi, in momenti  e occasioni  particolari lasciando  che la quotidianità trascorra, in una routine grigia,  nella più totale ”distrazione” e incuria. 

Per approdare ad  un’ “etica del quotidiano”  non occorre tanto fare un elenco delle cose da non fare o dei comportamenti da evitare o stabilire rigide regole da seguire facendo leva sul senso del “dovere”. Occorrono cambiamenti più profondi anche di natura culturale, di nuova consapevolezza, che  facciano assumere liberamente condotte che perseguano il bene personale non disgiunto dal bene comune. Così Il comportamento “giusto” viene percepito come bello. Si creano le condizioni per praticare l’ “estetica del quotidiano”, che non significa attorniarsi di beni di consumo belli. La bellezza non è l’istantaneo splendore di beni, ma qualcosa che riverbera silenziosamente nell’ambiente. La bellezza è un “evento relazionale”, frutto delle segrete relazioni tra cose diverse, frutto delle scelte e della sensibilità di chi vive in un determinato ambiente e del clima relazionale che ha saputo costruire. La bellezza è proattiva, alla sua presenza ci si sente sollecitati a generare qualcosa di bello, si produce un risveglio della forza generativa. Quando l’etica e l’estetica, il buono, il giusto e il bello, si fondono e confluiscono l’uno nell’altro si può apprezzare la qualità, l’ “eccellenza” della vita. Il bello invita a dimorare insieme, a stare nella “distensione del tempo” e contemporaneamente a  re-immaginare il futuro.

Leggermente, lungi dall’intento di proporre “ricette di vita”, intende semplicemente, con l’aiuto di esperti, richiamare l’attenzione sulle grandi risorse che ciascuno di noi ha per non smettere di immaginare e costruire il futuro.  Intende rivolgere a tutti un invito a ritrovare il tempo per riflettere sul valore della vita, un invito a guardare alla vita, , non solo come a un dato di “natura”, ma come a una scelta, a una possibilità, la cui qualità dipende, in ultima analisi, da noi.





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